“Perché sei un essere speciale / Ed io, avrò cura di te”
Così recitano i famosi versi della canzone di Franco Battiato. Ma cosa significa realmente aver cura? E come si può coniugare questo concetto così ampio e filosoficamente profondo con il fundraising?
Una domanda che ha attraversato come fil rouge gli interventi dell’ultima edizione del Festival del Fundraising. Una domanda che chiama in causa numerosi aspetti della relazione con l’altro (in quanto cura è sì cura di se stessi ma anche cura dell’altro) sia esso un donatore della nostra Organizzazione, un socio, un collaboratore o un volontario.
La cura del donatore
Innanzitutto la racconta fondi non è solamente questione di numeri. Se ci poniamo come primo obiettivo solo l’incremento del profitto, forse abbiamo un po’ perso di vista i veri valori della nostra Organizzazione.
Noi siamo i primi ad abbracciare la causa che portiamo avanti, siamo i primi a crederci e quindi i primi a voler comunicare all’altro quello che fa il nostro Ente, i progetti e i risultati raggiunti. Siamo fieri di questi progetti e di questi risultati a tal punto che la comunicazione verso l’altro lungi dall’essere commerciale; è più un trasferire quello che è il vissuto della nostra Organizzazione in modo che anche il nostro possibile donatore possa apprezzarne il valore che sta alla base.
La comunicazione verso l’altro dunque è discreta, informativa, “di cuore”; il nostro obiettivo è quello di rendere partecipe l’altro e di fare in modo che si affezioni a quello che stiamo portando avanti ogni giorno.
In questa discrezione si inserisce il concetto di cura, che pervade sia la fase iniziale di attrazione del nostro possibile donatore, sia le fasi successive in cui lo stimoliamo a sostenerci, sia quelle di chiusura dopo la donazione, ossia quello che abbiamo chiamato “delight” nel nostro articolo Digital Fundraising e Inbound Marketing. Infatti, solo se si sente accolto, importante, parte del progetto il nostro donatore tornerà periodicamente a sostenerci e innescherà quel processo di passa parola tanto importante per trovare altri donatori.
I volontari, anche loro vanno “deliziati”
Figura non molto diversa dal donatore è quella del volontario: differisce solo per il fatto che il suo impegno verso l’Organizzazione non è corrisposto in denaro ma in ore che mette a disposizione. Il suo tempo è comunque un dono che ci fa affinché possiamo portare avanti i nostri progetti e progredire nella nostra mission.
Quindi impariamo a curare la relazione con i nostri volontari, a dare più che a richiedere. Temi questi affrontati anche in libri come “Fatti di relazioni. Prendersi cura dei volontari” critto dalla psicologa Valentina Albertini.
Partendo da principi base della psicologia delle organizzazioni, nel libro si suggeriscono spunti di riflessione e indicazioni utili su alcuni temi chiave, come ad esempio l’accoglienza e la motivazione dei volontari. Secondo Valentina Albertini, infatti, “non è la qualità dei progetti e dei servizi che garantisce al nuovo volontario di rimanere, ma è la qualità delle relazioni tra i volontari all’interno dell’associazione a far sì che si decida di prestare il proprio tempo in maniera stabile e continuata presso quella associazione”.
In altre parole, un’associazione sta bene se i volontari stanno bene tra loro e viceversa.
Le persone dedicate al fundraising, il valore aggiunto dell’Organizzazione
In ultimo, non possiamo non riflettere sul ruolo dei nostri collaboratori. Un’Organizzazione per crescere ha bisogno di persone dedicate ai vari settori, e la raccolta fondi in primis è un vero e proprio lavoro; non può essere fatta nei ritagli di tempo dal presidente o dai segretari dell’Ente, nemmeno dai volontari.
Aver cura significa anche riconoscere i diversi ruoli e le competenze dell’altro, far emergere le sue capacità e le sue professionalità. Abituiamoci a pensare che per progredire abbiamo bisogno di investire anche in risorse e che ciascuno è un "essere speciale".